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Malattie renali, ritardare la dialisi con un’alimentazione corretta

Ecco i consigli degli esperti per ritardare la dialisi di ben un anno in caso di malattie renali

Malattie renali, ritardare la dialisi con un’alimentazione corretta

Una dieta equilibrata può ritardare di ben un anno la dialisi in caso di malattie renali. A renderlo noto sarebbero stati degli esperti nel corso del 25° congresso nazionale dell’Andid (Associazione Nazionale Dietisti), che si è recentemente svolto a Firenze, dove sarebbero stati illustrati gli effetti di una dieta corretta sul trattamento delle patologie renali. Nello specifico, pare che fosforo, sale e diete iperproteiche siano alla base di eventuali complicazioni nei pazienti con insufficienza renale cronica, e che eliminando questi elementi dalla dieta, potrebbe essere effettivamente ritardato di un anno l’ingresso alla dialisi.

 

Secondo quanto riportato, solo in Italia sarebbero del resto oltre 6 milioni le persone che soffrirebbero di una patologia ai reni, ed addirittura il 10% della popolazione adulta presenterebbe il rischio di sviluppare una malattia renale cronica in futuro.

 

In questo preoccupante quadro, sarebbe dunque importantissimo l’intervento di un dietista che sappia realizzare un piano alimentare personalizzato, che dovrà tenere in considerazione la situazione clinica del paziente. Nello specifico, la dieta dovrà essere ipoproteica e senza fosforo, al fine di allontanare il momento della dialisi di oltre un anno, come spiega Anna Laura Fantuzzi, segretario nazionale dell’Andid.

 

Per quanto concerne l’eliminazione del fosforo dalla dieta, essa sarebbe giustificata dal fatto che un rene danneggiato non avrebbe più la capacità di eliminarlo naturalmente, e per questa ragione sarà compito del dietista monitorarne la quantità assunta con la dieta, in particolar modo attraverso i latticini.

 

“Non va sottovalutato il fatto che una dieta ipoproteica gestita da un dietista con il supporto di un team motivato è in grado di ritardare l’accesso in dialisi di circa un anno  – spiega la Fantuzzi – e questo va a vantaggio sia di una migliore qualità di vita del paziente, che non deve essere schiavo di una macchina che aiuti la funzionalità renale, che di un notevole risparmio per il sistema sanitario, nel rispetto della farmaco-economia”.

via | Corriere
Foto Pixabay

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