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Anuptafobia: i consigli dello psicologo per affrontare la paura di restare soli

Anuptafobia, paura di rimanere soli. Con lo psicologo affrontiamo un tema molto delicato, una fobia che riguarda molte persone in tutto il mondo.

Anuptafobia: i consigli dello psicologo per affrontare la paura di restare soli

Fonte immagine: Photo by Diego San on Unsplash

Anuptafobia è una parola di origine latina dal significato bene preciso. Vuol dire paura di rimanere da soli, di rimanere single, di non poter vivere la vita con qualcuno accanto con cui condividere gioie e dolori. Una parola non semplice da dire o da scrivere. Ma che racchiude in sé moltissimi motivi per provare stress, ansia, paura, talvolta anche ossessione.

C’è chi la definisce come Sindrome di Bridget Jones. Il riferimento è al celebre film “Il diario di Bridget Jones”, tratto da un romanzo omonimo di Helen Fielding. Film con protagonista l’attrice Renée Zellweger nei panni di una donna di 30 anni frustrata, un po’ goffa. Lei era sempre alla ricerca dell’anima gemella. E per trovarla ne combina di tutti i colori. Forse proprio perché ha paura di rimanere da sola.

L’anuptafobia è proprio questo: compiere spesso scelte sbagliate per la paura di non avere nessuno accanto. Ma anche essere ossessionati dal trovare qualcuno con cui stare, senza soffermarsi mai a pensare che dovrebbe essere qualcuno che ci fa stare bene. E che prima dovremmo imparare ad amare noi stessi.

Sul tema sono molte le domande da porsi, a cui oggi ci dà risposta il Dottor Luciano Cirino, psicologo, di MioDottore, che ha aderito al progetto di video consulenza online attivato dalla piattaforma.

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Fonte: Photo by Marina Vitale on Unsplash

Come si chiama la paura di restare single?

La paura di restare single si chiama anuptafobia, che letteralmente significa “paura di non sposarsi” (anupta = assenza di nozze, fobia = paura).

Tale paura porta alla costante, talvolta ossessiva, ricerca di un partner, che si placa parzialmente quando qualcuno, anche se magari non corrisponde alle proprie preferenze, mostra interesse e disponibilità a un rapporto di coppia. Solo parzialmente perché, anche quando si riesce a costruire una relazione di coppia, resta il timore di essere lasciati o perché non ci si sente all’altezza del partner o perché la sua scelta potrebbe cambiare per qualcuno di più interessante.

Da tale timore nasce la gelosia, il controllo del comportamento del/della proprio/a compagno/a e il costante stato di allerta nel momento in cui si colgono eventuali segnali che indicano attenzioni particolari verso altre persone o da esse ricevute, in quanto potenziali concorrenti.

Perché si ha paura di rimanere soli?

L’uomo è istintivamente portato a instaurare relazioni affettive, per soddisfare i bisogni di socialità, compagnia, amore e sessuali. Tali relazioni nascono naturalmente da un’attrazione reciproca, ovvero dal vedere l’altra persona come potenziale figura desiderabile per poter soddisfare le proprie pulsioni, ricevere affetto, condividere intimità.

Se però ci si sente poco o per nulla attraenti, a partire dall’aspetto fisico, automaticamente nasce il timore che anche gli altri ci vedano nello stesso modo. Pensiamo dunque che sia difficile, se non impossibile, che qualcuno possa essere interessato a instaurare una relazione con noi.

Di conseguenza la persona che ha tali timori ha un atteggiamento e un comportamento meno intraprendente, deciso e seducente. Le esperienze di fallimento che vengono vissute, per non essere riusciti a farsi avanti o per aver ricevuto un rifiuto, non fanno che peggiorare il proprio modo di vedersi e sentirsi, aumentando il timore di restare soli e le proprie difficoltà a trovare una soluzione.

Cos’è la depressione da single?

Essere single può essere una scelta di vita, ma se invece è una condizione subita può causare cattivo umore o persino depressione.

Questo accade nel momento in cui il timore di restare soli si trasforma in convinzione e la persona che ne soffre si rassegna al fatto di non poter vivere il proprio sogno d’amore. L’età che avanza, vedere che un po’ alla volta i coetanei si creano una famiglia e che dunque diminuiscono anche le occasioni di incontro tra amici non fa che acuire il malessere e il senso di solitudine.

A volte le persone che vivono questa situazione cercano di reagire dandosi il tono da “single per scelta” nei confronti degli altri, ma in cuor loro sentono una profonda tristezza per non avere  l’opportunità di soddisfare il desiderio di condividere la propria vita con la propria anima gemella.

Come vincere l’anuptafobia?

La cosa migliore da fare è parlarne con uno psicologo, perché spesso gli amici, pur con le migliori intenzioni, si limitano a condividere la sofferenza (soprattutto se anch’essi vivono gli stessi problemi) o al contrario a incitare verso un atteggiamento più attivo e reattivo e proporre soluzioni concrete al problema, come ad esempio frequentare luoghi in cui incontrare potenziali compagni di vita.

Occorre invece affrontare il problema alla radice, ovvero individuare le convinzioni di fondo che l’hanno generato e provare a modificarle o sostituirle con altre più funzionali al proprio benessere.

In particolare, occorre favorire la propria autostima, la propria capacità di stare bene anche da soli, incentivare i propri interessi e la capacità di vivere bene il proprio tempo libero, evitando di cadere nei soliti  pensieri fallimentari.

Occorre migliorare in generale le capacità relazionali. Senza pensare in modo ossessivo alle relazioni affettive. E bisogna mantenere apertura verso le opportunità che la vita futura può offrire.

Per vincere la paura di restare soli bisogna, anche se può sembrare paradossale, riuscire a stare bene con se stessi, anziché cercare di non farla emergere attraverso relazioni che, proprio per i presupposti da cui nascono, possono rivelarsi poco  soddisfacenti. Dunque per nulla funzionali alle proprie necessità, se non persino dannose.

Una volta acquisita la capacità di stare bene da soli il problema non si pone più e aumentano di fatto le possibilità di instaurare relazioni sentimentali. Perché si è molto più liberi e tranquilli nel cogliere e creare occasioni d’incontro.

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Fonte: Photo by Noah Silliman on Unsplash

Cosa fare quando si è soli in giorni di festa (come San Valentino)?

Per le persone che soffrono in generale di solitudine, i giorni di festa sono occasione di ulteriore malessere. Proprio perché il clima felice e gioioso percepito all’esterno stride ancora di più con il proprio modo di sentirsi.

Per quanto riguarda in particolare il problema della anuptafobia, l’esistenza di una giornata dedicata agli innamorati è motivo di ulteriori complicazioni. Cuori e messaggi d’amore ovunque, ristoranti e locali notturni pronti ad accogliere coppie gioiose rimandano a un mondo da favola, a una vita rosea in cui vivere felici e contenti, che chi si sente solo può solo osservare da fuori, con tristezza, invidia o rabbia.

Per sopportare meglio tutto ciò si può provare a demitizzare, o almeno a non dare un eccessivo significato simbolico, alla festa di San Valentino. Che in fondo è un giorno come un altro. Osservandolo bene, quel mondo tutto colorato è un po’ “finto”. C’è sicuramente una parte vera, ma in questa parte ci si può comunque entrare, anche senza essere accoppiati. Perché l’importante non è avere un partner, ma stare bene.

Non c’è da vergognarsi o disperarsi a essere soli. La vita è più vasta e generosa di quello che sembra proporci. Dunque, è bene cercare di stare bene, prendersi cura di sé, perseguire la felicità, che non dipende dalle circostanze, ma da come ci si pone verso se stessi e verso la vita. Se si riesce a star bene con se stessi ce la si può fare  anche a S. Valentino!

Si può persino pensare che la migliore persona con cui fare coppia e festeggiare è proprio se stessi. E chissà che da questa nuova prospettiva non si riesca poi a individuare qualcuno con cui condividere gioia e bellezza.

Scopri anche l’approfondimento dell’esperto sul tema dell’ansia e dei sintomi da riconoscere subito.

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