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Perché i pazienti con insufficienza cardiaca soffrono di depressione

I pazienti con insufficienza cardiaca soffrono spesso di depressione. Un nuovo studio spiega il legame.

Perché i pazienti con insufficienza cardiaca soffrono di depressione

I pazienti con insufficienza cardiaca spesso soffrono anche di depressione. Questo è ciò che emerge da un nuovo studio condotto dai membri della University of Guelph e pubblicato sulle pagine della rivista Nature’s Scientific Reports, secondo cui i pazienti con insufficienza cardiaca tendono spesso a soffrire di condizioni neurologiche come disturbi cognitivi e depressione.

Precedenti ricerche hanno dimostrato che la disgregazione dei ritmi circadiani (fenomeno che riguarda ad esempio i turnisti e i pazienti che vengono spesso disturbati nelle unità di terapia intensiva) può innescare cambiamenti che peggiorano le malattie cardiache e compromettono la salute e il benessere generale.

Per questo nuovo studio, i ricercatori hanno confrontato topi normali con topi portatori di una mutazione nel loro meccanismo circadiano, ed hanno scoperto che la mutazione influenzava la struttura dei neuroni nelle aree cerebrali importanti per la cognizione e l’umore. Dallo studio è inoltre emerso che il meccanismo circadiano influenza gli effetti neurali dell’insufficienza cardiaca.

Sottolineando che non esiste una cura per le condizioni del cuore, di certo capire come funziona il meccanismo circadiano nel cervello può portare a nuove strategie per migliorare la qualità della vita dei pazienti.

I pazienti che si riprendono dagli attacchi cardiaci spesso sperimentano ritmi circadiani disturbati a causa della luce, del rumore e delle interazioni con il personale ospedaliero durante la notte.

Mantenere ritmi circadiani stabili, specialmente per i pazienti con malattie cardiache, potrebbe portare a migliori condizioni di salute. Se non siamo ancora in grado di curare l’insufficienza cardiaca, dovremmo almeno concentrarci su come possiamo migliorare la qualità della vita dei pazienti.

 

via | ScienceDaily
Foto da Pixabay

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