Benessereblog Salute Mucca pazza, nuovo test permette di diagnosticarla usando le urine

Mucca pazza, nuovo test permette di diagnosticarla usando le urine

Messo a punto da ricercatori dell'Istituto "Carlo Besta" di Milano, è il primo metodo in grado di diagnosticare con sicurezza la variante umana della malattia di Creutzfeldt-Jakob prima del decesso del paziente

Mucca pazza, nuovo test permette di diagnosticarla usando le urine

Qual è l’iter diagnostico che permette di stabilire con certezza se si ha a che fare con il morbo della mucca pazza? Per il momento l’unico modo per saperlo è analizzare il cervello delle vittime di questa variante della malattia di Creutzfeldt-Jakob dopo la loro morte, ma in un futuro non molto lontano la diagnosi definitiva potrebbe essere anticipata a quando il paziente è ancora in vita. Grazie a una collaborazione con l’Health Science Center dell’Università del Texas i ricercatori dell’Istituto neurologico “Carlo Besta” di Milano sono infatti riusciti a mettere a punto il primo test in grado di riconoscere la malattia in modo certo e semplice.

Il nuovo metodo, descritto sulle pagine del New England Journal of Medicine, si basa su di un esame delle urine. Infatti nel caso del morbo della mucca pazza il prione (molecola responsabile della malattia) non è presente solo nel cervello – com’è invece il caso di altre forme di Creutzfeldt-Jakob – ma anche in altri organi, come la milza, le tonsille, l’intestino e i muscoli. Anche il sangue e le urine di chi è affetto dal morbo contengono tracce del prione, seppur in quantità infinitesimali. I ricercatori milanesi e texani sono riusciti a trovare un modo per rendere rilevabili queste tracce nelle urine amplificandole miliardi di volte.

“Una caratteristica peculiare del prione è quella di trasformare la proteina prionica sana in una malata quando ne viene a contatto”, spiega Fabio Moda, il ricercatore del Besta che ha coordinato lo studio. “Il prione neo-formato, a sua volta, si lega ad altre proteine prioniche normali e le trasforma, innescando così un meccanismo di conversione a cascata che promuove la progressione della patologia. Quello che noi facciamo con la Pmca [Protein Misfolding Cyclic Amplification, la metodica applicata da Moda e colleghi alla rilevazione del prione nelle urine, ndr] è alimentare con proteine sane il campione da esaminare”. In pratica i prioni presenti trasformano le proteine normali in proteine alterate, innescando un effetto a cascata che permette di averne a disposizioni quantità rilevabili con tecniche diagnostiche comuni.

“Questa tecnica è per ora disponibile solo a fine di ricerca”, puntualizza Fabrizio Tagliavini, direttore del Dipartimento di Malattie neurodegenerative dell’istituto milanese, “ma potrà entrare a breve nella routine diagnostica, dopo la procedura di validazione comune a tutte le nuove tecnologie”. Al momento sembra che permetta si individuare la malattia nel 93% dei casi e che non produca falsi positivi, cioè diagnosi errate.

“La sua importanza”, aggiunge Tavaglini, “è legata anche al fatto che l’utilizzo non sarà limitato solo alla variante umana della malattia di Creutzfeldt-Jakob ma potrebbe essere esteso ad altre malattie neurodegenerative quali la malattia di Alzheimer, il Parkinson o le demenze frontotemporali, attraverso la dimostrazione di marcatori specifici in tessuti periferici e liquidi biologici facilmente accessibili”. In questo modo potrebbero essere possibili diagnosi precoci e, quando sono disponibili, un avvio altrettanto precoce di terapie prima che i danni al cervello diventino gravi e irreparabili.

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Via | Ordine Medici Roma/AdnKronos Salute

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