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Chiedi allo psicologo: le risposte a tutte le vostre curiosità

Lo psicologo Francesco Minelli risponde a tutte le nostre curiosità sulla psicoterapia e su ciò che dovremmo aspettarci dal nostro psicologo!

Chiedi allo psicologo: le risposte a tutte le vostre curiosità

Andare dallo psicologo può essere una scelta complicata per alcuni di noi. Per aiutarvi in questo delicato momento, abbiamo pensato di porre alcune domande a Francesco Minelli, psicologo e psicoterapeuta da sempre appassionato di Psicologia. Grazie alle sue risposte, potremo comprendere con maggiore chiarezza cosa dovremmo aspettarci dalla terapia psicologica, e potremo superare alcune delle paure che accomunano quasi tutti coloro che si ritrovano a dover chiedere aiuto a una persona esperta.

Ecco quindi per voi la nostra intervista con il Dottor Francesco Minelli, proprietario del sito web Francescominellipsicologo.it

Cominciamo con una domanda che si porranno certamente molte persone: come fare a capire quando è necessario rivolgersi a uno psicologo?

La ringrazio per avermi posto questa domanda.
Le risposte più ovvie sembrerebbero essere:
– quando si prova sofferenza nelle sue varie forme (soprattutto da lungo tempo).
– quando se ne senta la necessità e si vuole comprendere a fondo se stessi.
e si distinguono enormemente per il grado di motivazione che porta la persona a rivolgersi allo psicologo.

– Nel primo caso è la sofferenza che ci motiva.
Bisogna però fare una doverosa precisazione:
Ognuno di noi sperimenta la propria sofferenza in modalità molto diverse. La stessa situazione può essere tragica o drammatica per una persona e facilmente affrontabile (apparentemente) per un’altra.
Quando però la sofferenza, l’ansia, i traumi ed in generale i nostri vissuti emotivi ci impediscono di vivere la nostra vita o ci limitano in varie aree, allora è probabilmente il caso di cominciare a pensare di rivolgersi ad uno psicologo/psicoterapeuta.
Purtroppo invece la maggior parte della gente cerca in tutti i modi di affrontare il dolore da sola, pensando che farsi aiutare sia solo motivo di vergogna. Esistono specifici meccanismi di difesa per proteggerci dall’ammettere a noi stessi quanto soffriamo.
E così passano giorni, mesi, anni.
Finchè la sofferenza non si trasforma in un disturbo cronico e non abbiamo altra scelta che rivolgerci ad uno psicologo o in certi casi ad uno psichiatra, assumendo farmaci.
Anche solo poter fare un percorso di consulenza di 3-4 sedute può permetterci di capire se il periodo di sofferenza che stiamo attraversando è sano (es. un lutto, una separazione) oppure se abbiamo perso il controllo sui nostri stati emotivi.
Sta tutto nel darci la possibilità di farci aiutare prima che sia tardi.

– Nel secondo caso la motivazione è data dal desiderio di comprensione e crescita.
In questo secondo caso si è già abbastanza aperti e non ci si rivolge solamente allo psicologo quando la situazione è difficilmente sostenibile. Esiste una forte motivazione intrinseca e se anche c’è una sofferenza si tende a “prevenire” e a lavorarci prima che diventi cronica.

Come si può ben capire sono 2 approcci alla psicoterapia che distinguono i pazienti già nei primissimi colloqui.

 – Cosa dovrebbe aspettarsi, concretamente, una persona che si rivolge a uno psicologo? Esistono davvero le “terapie brevi” che nell’arco di qualche mese riescono a migliorare la vita del paziente, o ritiene che sia necessario seguire una terapia prolungata per ottenere dei benefici a lungo termine?
Comincio con la prima domanda.
La persona che si rivolge allo psicologo dovrebbe innanzitutto lavorare su obiettivi specifici. Questa è la fase di consulenza iniziale nella quale ci si confronta con il terapeuta e si valutano possibili punti di arrivo. Ovviamente ciò potrà cambiare nel tempo, ma è necessario quantomeno avere una bozza di una mappa da seguire insieme.
Le aspettative del paziente sono un punto importante della terapia e vanno analizzate a fondo, sia nella fase iniziale, sia durante tutto il trattamento.

Per quanto riguarda la seconda domanda:
Inizio col dire che non credo nelle terapie brevi.

Questo per un motivo fondamentale: ritengo che la parola “breve” sia solo un modo di dare false speranze e di colludere con le aspettative irrealistiche del paziente.

Il mio approccio (Psicoterapia Psicodinamica) consiste in sedute settimanali di un’ora. Il percorso può essere più o meno lungo, ma ciò che conta è sempre il benessere della persona. Parlando di benessere non mi riferisco soltanto all’eliminazione dei sintomi, ma ad un cambiamento profondo.
Detto ciò, non si può pensare di ottenere gli stessi risultati per persone diverse in tempi simili. Ognuna ha vissuto e sperimentato sofferenze, traumi, lutti e va compresa, ascoltata e “curata” lasciandole anche il tempo di elaborare a fondo il tutto.

La domanda che mi pongo è: perchè dovrei allungare la terapia di proposito?
Il mio compito è comunque quello di aiutare la persona nel più breve tempo possibile (quantomeno a livello sintomatologico), ma soprattutto di farle elaborare a fondo i suoi vissuti per non avere ricadute in futuro.
Mi interessa della sua qualità di vita futura, del suo benessere, delle cause alla base dei suoi sintomi. I sintomi diventano perciò qualcosa da ascoltare a fondo, non da rimuovere.
Ecco perchè non credo non tanto in un approccio breve, ma in un approccio miracoloso ed illusorio.
A volte ho l’impressione che si utilizzi la parola “breve” solo per invogliare maggiormente le persone ad andare in terapia.

 – Percepisce diffidenza da parte dei pazienti, perlomeno durante la fase iniziale della terapia? Esiste ancora, secondo lei, il pregiudizio nei confronti del cosiddetto “strizzacervelli”?

Certamente si, ed è assolutamente normale.

Esistono diversi pregiudizi nei confronti della psicoterapia. Vorrei sottolineare 5 frasi che ho sentito spesso:

  1. Non ho bisogno di un terapeuta. Sono abbastanza intelligente per risolvere da solo i miei problemi
    Tutti abbiamo dei punti ciechi e difficilmente possiamo osservarci dall’esterno in maniera obiettiva. Un buon terapeuta (come approfondirò successivamente) non dovrebbe mai dirci cosa fare o come vivere la nostra vita, ma fornirci una prospettiva esterna e “allargare” la nostra visione del mondo per permetterci di fare scelte migliori.
  2. La terapia è per i matti
    Il fatto di ammettere a noi stessi di avere bisogno di aiuto ci fa sentire sbagliati ed inadeguati.
    Credo che questa convinzione sia una delle più difficili da eliminare e va spesso affrontata durante il percorso terapeutico.
    La terapia non è per i matti, ma per le persone che hanno abbastanza auto consapevolezza di comprendere che hanno bisogno di una mano amica e che vogliono acquisire strumenti per avere una sana autostima e maggiore consapevolezza e gestione del proprio mondo emotivo.
  3. Il terapeuta vuole solo che io parli dei miei genitori
    Anche se esplorare le dinamiche familiari è uno dei punti fondamentali della terapia non è l’unico. Spesso i primi rapporti con chi si è preso cura di noi strutturano schemi molto rigidi che vanno compresi a fondo, soprattutto per l’impatto che hanno nel presente.
    Il percorso terapeutico procede come una co-costruzione e attraverso obiettivi condivisi tra paziente e terapeuta. Ritengo importante lasciar libero il paziente di parlare liberamente di tutto ciò che vuole, rispettando anche la volontà di non parlare di esperienze familiari particolarmente dolorose.
  4. Ho provato ma non ha funzionato
    Al giorno d’oggi si ricerca sempre di più la soluzione veloce e con minore sofferenza possibile.
    Molte persone provano ad andare in terapia per 1 o 2 incontri, a volte anche un mese e non avendo risultati immediati mollano e razionalizzano dicendosi che la terapia non funziona.
    Il punto è che la terapia è un lavoro duro. Lamentarsi può attirare un po’ di attenzioni ma non porterà mai a risolvere i problemi. Il miglioramento si ottiene sempre avendo uno sguardo obiettivo verso noi stessi e prendendoci la responsabilità delle nostre azioni.
    Il terapeuta può aiutarci ma non possiamo pensare di essere agenti passivi, siamo anche noi a doverci impegnare.
  5. Posso parlare dei miei problemi con un amico/a e farmi aiutare da lui/lei“Anche se il supporto della famiglia e degli amici è importante, la terapia è differente.
    In terapia ci si focalizza unicamente sul paziente e sui suoi bisogni ed obiettivi: il terapeuta non condivide mai elementi della sua vita privata (se non in casi particolari) e la sua attenzione è completamente sul paziente, cosa che tra amici non avviene.
    Il terapeuta non giudica ma cerca sempre di osservare e comprendere.
    Questo è possibile proprio perchè il rapporto è professionale e si svolge in uno spazio protetto.
    Altro elemento fondamentale che distingue le 2 figure è la preparazione teorica e tecnica. Lo psicologo/psicoterapeuta ha studiato a lungo il funzionamento della mente umana attraverso un lungo percorso di studi.

 – Lo psicologo “offerto” dalle ASL è gratuito, diversamente dagli “psicologi privati”, che come ben sappiamo sono “a pagamento”. Ritiene che il fatto che un paziente debba pagare una certa somma di denaro per le visite, possa influenzare in qualche modo i risultati della terapia?
Questa è una domanda che porta spesso a risposte e pareri discordanti.
Si potrebbe parlare per ore dell’argomento.
Centrale è il tipo di motivazione così come il tipo di relazione che si va ad instaurare.
Il pagamento delle sedute è un vero e proprio impegno per il paziente ed è un elemento centrale nel determinare il suo grado di motivazione al cambiamento, oltre a determinare un rapporto professionale.
E ciò è fondamentale per la riuscita del trattamento.
Questo non toglie che possa essere utile un trattamento gratuito, dipende sempre dagli obiettivi che ci si pone.
Come dico spesso, meglio gratuito che nulla!

 – Quando e come paziente e psicologo si rendono conto con certezza che è giunto il momento che il paziente “cammini sulle sue gambe” senza aver quindi bisogno di un regolare supporto psicologico?
Questa domanda è spesso strettamente correlata alla lunghezza della terapia stessa.
La risposta più ovvia sembra essere: quando il paziente si sente meglio.
In realtà ciò può avere tanti diversi significati per l’individuo che si è recato in terapia e non è l’unico elemento da considerare per la conclusione del percorso terapeutico.
È perciò necessario effettuare una profonda valutazione da parte del professionista e discuterne a fondo con il paziente, tenendo sempre come riferimento gli obiettivi che si erano concordati nella fase di valutazione (e che nel tempo possono essersi modificati). Ecco alcune domande da potersi fare:
– l’umore del paziente è migliorato sensibilmente?
– stiamo lavorando verso il raggiungimento degli obiettivi che ci eravamo prefissati?
– il paziente mostra maggiore fiducia in se stesso e autonomia nelle scelte che fa?
– il paziente si sente più sicuro nelle aree più importanti della sua vita (es. lavoro, relazioni)?
– il paziente mostra una maggiore consapevolezza di se stesso e dei suoi comportamenti?
– sono migliorate le sue relazioni intime e non?

Ovviamente queste sono solamente alcune indicazioni di base.
Nella maggior parte dei casi è il paziente stesso a poter proporre e decidere il momento in cui terminare il percorso. È importante dedicare un periodo di tempo alla discussione di questa decisione proprio per andare in profondità ed evitare un’interruzione prematura, la quale potrebbe essere un riflesso inconscio atto a non affrontare tematiche di vita importanti.
Se si arriva insieme ad un accordo si può indicare un termine più o meno flessibile.
Una decisione del genere può far emergere vari vissuti a livello emotivo sia nel paziente che nel terapeuta e, al fine di una conclusione vera e propria, ritengo fondamentale parlarne approfonditamente.

 – Psicologo e psicoterapeuta: esistono delle differenze fra queste due figure? E come fare a capire quale supporto potrebbe essere quello più adatto alle nostre necessità?
Certamente ci sono delle differenze sostanziali tra Psicologo e Psicoterapeuta.

Iniziamo con lo Psicologo:
Per poter diventare Psicologi è necessaria la laurea in Psicologia, la quale è caratterizzata da un periodo di tirocinio (di solito di 1 anno) e durata di 5 anni.
Oltre a ciò è necessario il superamento dell’Esame di Stato che consente l’iscrizione all’Ordine degli Psicologi (suddivisi per regione), necessaria per poter esercitare la professione.
Un laureato senza iscrizione all’albo non è abilitato alla professione di Psicologo.
In termini pratici, lo psicologo può svolgere colloqui di consulenza, somministrare test, effettuare valutazioni diagnostiche, fornire sostegno così come operare in contesti educativi (es. Psicologo Scolastico), accademici e riabilitativi.
Esistono poi figure specifiche che operano in particolari contesti organizzativi (es. nello sport, nella ricerca, in azienda).
Lo Psicologo non può effettuare la Psicoterapia né somministrare farmaci.

Lo Psicoterapeuta, invece, può essere sia un Medico che uno Psicologo che dopo la laurea e l’abilitazione ha deciso di frequentare una scuola di specializzazione di 4 anni in Psicoterapia, riconosciuta dal MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca).
Durante questo periodo è necessario un periodo di tirocinio e spesso una propria terapia personale. Non è sempre considerata obbligatoria da tutte le scuole, ma io ritengo sia essenziale.
Esistono moltissimi approcci teorici e moltissime scuole di Psicoterapia, infatti spesso le persone hanno difficoltà a capire quale approccio possa fare al caso loro e perché sceglierne uno piuttosto che un altro. In questo senso invito sempre a documentarsi sui vari approcci prima di prendere una decisione [ho scritto un’intera guida al riguardo – non so se posso citarla nell’articolo].

Lo Psicoterapeuta può trattare una gran varietà di disturbi psichici:

– i disturbi della personalità
– ansia
– depressione
– traumi
– lutti
– difficoltà relazionali o sessuali
e in generale tutto ciò che riguarda il mondo emotivo e relazionale.
Può somministrare farmaci solo se è Medico.

Ma ovviamente lo Psicoterapeuta può anche andare ad indagare in profondità tutto ciò che impedisce all’individuo uno stato di benessere e ciò che ostacola il raggiungimento del suo potenziale.
Può lavorare con individui, coppie, famiglie o gruppi.
A volte si utilizza quasi come sinonimo di Psicoterapeuta il termine Psicanalista (o “psicoterapia” e “psicanalisi”). In realtà lo Psicanalista “puro” oggi è solamente colui che utilizza la tecnica che segue il pensiero di Freud ed utilizza il lettino e 3 sedute a settimana. Questa è definita come Psicanalisi Classica.
L’approccio Psicodinamico è quello che seguo personalmente e al suo interno contiene un vasto filone di teorie e di tecniche che partendo da Freud si sono poi più o meno distaccate.
Il mio punto di riferimento a livello teorico è la Teoria dell’Attaccamento di J. Bowlby.

 – Sta sempre più prendendo piede una figura che anni fa sarebbe stata inimmaginabile, ovvero quella dello psicologo on line. Cosa ne pensa di questo tipo di terapia? La ritiene potenzialmente efficace, o ritiene che per delle sedute più mirate sia necessario poter osservare anche il linguaggio del corpo del paziente, oltre che le sue parole?
L’argomento della terapia online mostra sempre pareri discordanti.
Esistono colleghi che non la considerano affatto ed altri che la utilizzano spesso.
Mi riferirò solamente della terapia online tramite videochiamata, in quanto non ritengo le altre forme valide di psicoterapia (es. email, telefonata, chat).

Dal canto mio utilizzo questo tipo di pratica terapeutica perchè credo possa aiutare in molti casi, anche se ha alcune limitazioni. Alcuni dei vantaggi sono:
1) Distanza: non è necessario spostarsi per aver accesso alla consulenza.
2) Riservatezza: non è necessario imbattersi in altri pazienti o aspettare in sale d’attesa.
3) Accesso a chi non può compiere spostamenti.
4) Diminuzione dell’ansia legata al primo contatto diretto con lo psicologo.

La possibilità di comunicare a distanza tramite videochiamata, inoltre, non limita completamente l’osservazione del comportamento non verbale: ricordiamoci che il viso e la comunicazione paraverbale (tono, timbro e volume della voce) possono essere osservati anche tramite le sedute online.
Questo non significa che non debbano esserci delle regole: anche se la persona si trova comodamente a casa o in un luogo familiare, questo non significa che possa fare ciò che vuole. La durata è la stessa di una consulenza normale (50 min) e segue molte delle regole di un percorso di psicoterapia in studio:
– orari prestabiliti
– privacy e riservatezza
– luogo silenzioso e dove si può parlare senza essere interrotti

Nonostante ciò questo mezzo non è indicato in qualsiasi situazione. Andrà perciò valutata:
– la gravità del quadro sintomatologico
– se c’è una palese difficoltà nell’uso del mezzo tecnologico
– l’impossibilità ad accedere ad un luogo riservato.

Durante la prima consulenza il terapeuta dovrà valutare quindi se la persona è adatta a questo tipo di percorso e concorderà con il paziente degli obiettivi generali. Dopodichè si lavorerà insieme su questi obiettivi, sempre cercando di sviluppare il prima possibile l’alleanza terapeutica.

Alcuni dati dimostrano che nella psicoterapia online l’alleanza terapeutica si sviluppa similmente alla psicoterapia tradizionale. (Andersson, Paxling, Wiwe, Vernmark, Bertholds Felix,et al., 2012).

Personalmente, non ritengo utile la consulenza online quando siamo di fronte a casi di disturbi di personalità conclamati oppure situazioni di una certa gravità che possono richiedere l’intervento psichiatrico.

Foto da iStock

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