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Alzheimer, recuperare la memoria è possibile?

Un nuovo approccio terapeutico sembra aprire qualche speranza, ma è ancora troppo presto per cantare vittoria. Ecco perché

Alzheimer, recuperare la memoria è possibile?

In un piccolo studio pubblicato sulla rivista Aging Dale Bredesen, direttore del Easton Center for Alzheimer’s Disease Research dell’Università della California, è riuscito per la prima volta a combattere efficacemente la perdita di memoria associata all’Alzheimer e ad altri disturbi cognitivi grazie a un complesso piano terapeutico basato sull’alimentazione, la stimolazione cerebrale, l’esercizio, l’ottimizzazione del sonno, farmaci, vitamine e una serie di cambiamenti che influenzano la chimica del cervello. Nove dei 10 partecipanti hanno mostrato miglioramenti oggettivi o soggettivi della memoria tra 3 e 6 medi dopo l’inizio del programma. Purtroppo, però, questo approccio sembra non essere efficace nel caso di forme di Alzheimer avanzate.

“Gli attuali farmaci contro l’Alzheimer colpiscono un solo bersaglio”, spiega Bredesen, “ma la malattia di Alzheimer è più complessa”. Partendo da questa osservazione l’esperto ha messo a punto una terapia personalizzata per ciascun paziente basata su studi approfonditi dei fattori che influenzano il funzionamento del cervello. I risultati ottenuti in 9 dei pazienti sembrano strabilianti: sia coloro che soffrivano di deterioramento cognitivo lieve o di disturbo soggettivo della memoria (una condizione in cui è lo stesso paziente a riportare di avere problemi cognitivi), sia chi era affetto da Alzheimer ha sperimentato miglioramenti duraturi della memoria. Che sia questo l’approccio giusto per combattere il problema?

Effettivamente questi risultati accendono la speranza che la perdita di memoria dovuta a malattie come l’Alzheimer possa essere non solo arrestata, ma addirittura curata. Tuttavia lo stesso Bredesen si dimostra piuttosto cauto e ammette che i risultati riportati sono basati su osservazioni soggettive e che per arrivare a una conclusione certa sono necessari studi più ampi e controllati.

Effettuarli non sarà semplice. I programmi personalizzati messi a punto da Bredesen non sono facili da seguire: i pazienti e chi si prende cura di loro devono farsene completamente carico e già in questo primo studio nessuno dei seppur pochi pazienti coinvolti è riuscito a seguire l’intero protocollo. E nonostante sia privo di effetti collaterali, spesso chi lo ha seguito si è lamentato dei grossi cambiamenti da apportare all’alimentazione e allo stile di vita e dell’elevato numero di farmaci da assumere tutti i giorni.

Sembra, insomma, che non sia ancora il caso di entusiasmarsi troppo: la strada verso la cura dell’Alzheimer non è ancora finita ed e tutt’altro che spianata.

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Via | Buck Institute for Research on Aging

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