Trombosi
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La trombosi è la causa più frequente delle patologie cardiovascolari e cerebrovascolari, come infarto del miocardio, ictus, embolia polmonare. Una condizione che ha sintomi non sempre facili da riconoscere e conseguenze potenzialmente molto gravi, invalidanti o addirittura mortali, ma che è possibile prevenire, a patto di conoscerla e di intervenire tempestivamente al primo campanello d’allarme.
Lo ha confermato l’ALT, l’Associazione per la Lotta alla Trombosi e alle malattie cardiovascolari, in occasione della Giornata Nazionale per la Lotta alla Trombosi 2021: le malattie da trombosi colpiscono il doppio dei tumori ma possono essere evitate in un caso su tre.
Ma cos’è la trombosi? Come si manifesta e quali patologie provoca? Quali sono le cause e i fattori di rischio? Come si cura e, soprattutto, come può essere prevenuta? Scopri tutto quello che c’è da sapere sulla trombosi e su come proteggerti nel nostro approfondimento.
Trombosi: cos’è
Siamo abituati a pensare alla trombosi come a una patologia. In realtà, chiarisce sempre l’ALT, più che una malattia la trombosi è un fenomeno che può provocare malattie diverse a carico di moltissimi organi.
In tutti i casi la trombosi è la conseguenza della formazione di un trombo in un vaso sanguigno. Si tratta di un grumo solido di globuli bianchi, globuli rossi e piastrine che va ad ostruire un’arteria (trombosi arteriosa) o una vena (trombosi venosa), ostacolando la circolazione e impedendo all’ossigeno e alle sostanze nutritive di raggiungere l’organo che riceve nutrimento da quel vaso. Questo ne causa la morte o lo danneggia in modo molto serio.
Se il trombo si verifica in un’arteria coronaria provoca l’infarto del miocardio, se interessa un’arteria del cervello causa l’ictus cerebrale, se si forma in quella retinica può portare alla perdita parziale o totale della vista.
Il trombo si può anche frammentare in parti più piccole. In questo caso si parla di embolo, che attraverso il sistema circolatorio può raggiungere qualunque organo, compromettendone il funzionamento e causando gravi danni. E’ quanto succede, per esempio, nell’embolia polmonare. È la complicanza più grave della trombosi venosa e di solito è causata proprio da un embolo che si stacca da una vena periferica, in genere da quella di una gamba, e raggiunge i polmoni.
Scopri di più su “Embolo, trombo e coagulo: le differenze che devi conoscere” nel nostro articolo.

Epidemiologia
Secondo i dati dell’ALT, ogni anno in Italia le malattie da trombosi colpiscono circa 600.000 persone causando morte o disabilità in oltre 400 mila. Il rischio di sviluppare un evento trombotico interessa una persona su 1000 nella popolazione generale, ma aumenta negli anziani (riguarda una persona su 100 negli over 70) e diminuisce tra i giovani (una persona su 10.000 tra gli over 40).
Su scala globale, la trombosi e le malattie correlate sono la causa del 25% di tutti i decessi che si verificano ogni anno nel mondo.
Tuttavia, da un sondaggio dell’ALT risulta che solo un italiano su tre sa cos’è la trombosi, conosce i sintomi, i fattori di rischio e le malattie che può causare ed è informato su come ridurre la probabilità di soffrirne. Questo rende più difficile contrastare questa patologia che ha conseguenze potenzialmente mortali, ma che che può essere prevenuta e curata.
Storia
E’ stato un frate francescano, Guillaume De Sant Pathus, a descrivere in letteratura il primo caso di trombosi. Era il 1271 e il paziente era un giovane calzolaio normanno che mostrava i sintomi tipici di una trombosi venosa profonda: edema e dolore che si irradiava dal polpaccio alla coscia destra.
Da allora è stata fatta tanta strada nel percorso di conoscenza della trombosi, delle sue cause e dei fattori predisponenti, degli strumenti diagnostici e dei più efficaci approcci terapeutici. Ripercorriamo alcune delle tappe più importanti di questo cammino.
Le scoperte più significative
- Nel 1856, il medico patologo Rudolph Virchow individua i tre fattori che favoriscono la formazione di trombi: danno endoteliale, anomalie o alterazioni del flusso ematico, ipercoagulabilità. È la cosiddetta triade di Virchow, che pone le basi della comprensione del meccanismo che porta alla trombosi.
- Nel 1916, il medico statunitense Jay McLean isola un anti-coagulante a base di fosforo solubile nel grasso. A questo composto, individuato nel tessuto epatico dei cani, viene dato il nome di eparina, ancora oggi largamente utilizzata come farmaco iniettabile anticoagulante contro la trombosi.
- Negli anni Trenta viene scoperto l’anticoagulante dicumarolo. Negli Stati Uniti scoppia una misteriosa epidemia del bestiame: gli animali muoiono per emorragia interna, anche dopo ferite di piccola entità. Il dottor Karl Link dell’Università del Wisconsin scopre che il responsabile è il trifoglio essiccato con cui le vacche sono state nutrite, che ha inibito la coagulazione del sangue. Identifica così la molecola responsabile di questo processo, il dicumarolo. Si tratta di un derivato della cumarina, sostanza che in genere non interferisce con la coagulazione ma che, dopo l’essiccazione del trifoglio, è stata convertita in dicumarolo, ad azione emorragica. Qualche decennio dopo, da questa scoperta nasce il warfarin, un composto anticoagulante derivato proprio dal dicumarolo, approvato come farmaco nel 1954 e tuttora utilizzato per prevenire la formazione di trombi.
- Tage Astrup, nel 1939, descrive per la prima volta una proteina anticoagulante naturale, l’antitrombina. Nel 1965 Olav Egeberg presenta il primo studio che collega la malattia trombotica a un difetto ereditario del controllo della coagulazione del sangue dovuto a un deficit di antitrombina.
- Nel 1970 vengono scoperti due inibitori naturali della coagulazione. Si tratta della proteina C e della proteina S.
- Nel 1993, Björn Dahlbäck scopre che la mutazione nel gene del fattore V della coagulazione (oggi noto come fattore di Leiden) è associata a un maggiore rischio di trombosi.

Trombosi arteriosa e trombosi venosa
La prima grande distinzione da fare, quando parliamo di trombosi, è quella tra trombosi arteriosa e trombosi venosa. A differenziarle sono, in primo luogo, i vasi sanguigni interessati. La trombosi, infatti, può colpire sia le arterie che le vene, superficiali o profonde, per lo più delle gambe ma anche localizzate in altre parti del corpo.
Oltre ai vasi coinvolti, la differenza tra queste due forme di trombosi riguarda anche le cause e le complicanze.
Di solito la trombosi arteriosa è provocata da aterosclerosi. Questa condizione patologica è caratterizzata da alterazioni della parete delle arterie, che perdono la propria elasticità a causa dell’accumulo di calcio, colesterolo, cellule infiammatorie e materiale fibrotico (placche aterosclerotiche). Tra i principali fattori di rischio della trombosi arteriosa ci sono l’ipercolesterolemia, l’ipertensione, l’obesità e il fumo.
La trombosi venosa, invece, in genere è associata ad una predisposizione all’ipercoagulabilità, congenita (per esempio legata a mutazioni dei fattori della coagulazione) o acquisita, che comporta una maggiore tendenza del sangue a creare dei coaguli. Tra i fattori di rischio ci sono l’immobilità causata da trauma o malattia, intervento chirurgico e tumori.
E per quanto riguarda le conseguenze?
La trombosi arteriosa blocca il flusso di sangue, ricco di ossigeno e nutrimento, dal cuore ai tessuti. Questo causa un’ischemia che può avere tra le sue conseguenze l’ictus (se ad essere colpite sono le cellule cerebrali) o l’infarto del miocardio (se vengono colpite le cellule cardiache).
Quando, invece, il trombo si forma nelle vene e ostacola la circolazione del sangue, determina una sofferenza a carico degli organi a monte dell’ostruzione, come fegato, arti, retina, polmoni. Le conseguenze dipendono quindi dall’organo interessato: disturbi della visione, se ad essere colpita è la retina, crampi, arrossamento e gonfiore se il coagulo si forma nelle vene di una gamba, gravi danni ai polmoni se il trombo si frammenta in emboli che vanno a ostruire le arterie del polmone scatenando un’embolia polmonare.
Vuoi saperne di più su trombosi arteriosa e trombosi venosa? Leggi il nostro articolo “Trombosi arteriosa e venosa, le differenze che (forse) non conosci”.
Trombosi e flebite: sono la stessa cosa?
Si tende spesso a confondere la trombosi venosa con la flebite, pensando che siano la stessa cosa, ma non è così. Si tratta di due patologie diverse.
Il termine “flebite” è spesso usato, impropriamente, per fare riferimento a un’infiammazione venosa dovuta alla formazione di un trombo. La flebite, in realtà, può essere determinata sia da un trombo che da altre condizioni, come la presenza di vene varicose o di danni alle pareti dei vasi sanguigni. Quando a causare lo stato infiammatorio è un trombo, si parla di tromboflebite se interessa le vene superficiali, di flebotrombosi se colpisce le vene profonde. Ma la flebite è un’infiammazione che può essere scatenata anche da altre cause, non necessariamente da un coagulo di sangue.
Nel nostro articolo “Flebotrombosi e flebite, le differenze che non puoi non conoscere” ti spieghiamo meglio come distinguere queste due patologie.

Perché si formano i trombi
Ma perché si formano i trombi? La risposta a questa domanda è racchiusa nella cosiddetta triade di Virchow, a cui abbiamo già accennato, che riassume i principali fattori responsabili della formazione di trombi. La triade deve il suo nome al medico tedesco Rudolph Virchow, che nel 1856 fece riferimento a questi fattori in una pubblicazione sull’origine dell’embolia polmonare.
All’interno della triade sono comprese le tre alterazioni a carico del sistema cardiocircolatorio che sono responsabili della formazione di trombi e quindi dello sviluppo di eventi trombotici. Vediamole più in dettaglio.
Danno endoteliale
Il primo elemento della triade di Virchow è una lesione dell’endotelio, ovvero del tessuto che riveste la superficie interna di vene e arterie. L’endotelio è composto da cellule endoteliali e svolge numerose funzioni importantissime per il buon funzionamento del sistema cardiocircolatorio:
- agisce da barriera
- regola la coagulazione e l’aggregazione piastrinica
- regola i processi infiammatori.
Un danno all’endotelio causa una disfunzione endoteliale che ha tra le sue conseguenze la riduzione dell’attività antitrombotica e l’aumento dell’attività pro-trombotica e pro-infiammatoria. La conseguenza è la formazione di trombi.
Ma quali sono i fattori che possono danneggiare l’endotelio? Tra i principali figurano:
- lesioni fisiche
- ipertensione
- agenti infiammatori
- esposizione a radiazioni
- ipercolesterolemia
- omocisteinemia (alti valori dell’aminoacido omocisteina nel sangue)
- fumo di sigaretta.
Anomalie o alterazioni del flusso ematico
Il secondo elemento della triade di Virchow è rappresentato dalle anomalie del flusso ematico, come la turbolenza e la stasi. Queste alterazioni modificano il regolare flusso del sangue, che non scorre più in maniera ordinata, ma assume un moto caotico e/o subisce un forte rallentamento.
Entrambe queste condizioni sono associate ad un aumento dell’attività pro-coagulante e quindi a un maggiore rischio di formazione di trombi.
Tra le condizioni che possono causare alterazioni del flusso sanguigno ci sono:
- aneurismi
- infarto del miocardio
- stenosi della valvola mitrale e sue complicanze, come la fibrillazione atriale
- anemia falciforme, una malformazione genetica dell’emoglobina.
Ipercoagulabilità
Il terzo fattore della triade di Virchow è l’ipercoagulabilità. Si tratta di un difetto del sistema dell’emostasi che fa sì che il sangue tenda a coagulare troppo facilmente o in maniera eccessiva. Questa alterazione predispone alla formazione di trombi soprattutto a livello venoso, quindi rappresenta uno dei principali fattori di rischio della trombosi venosa.
Ma cos’è l’emostasi? Si tratta di quel complesso insieme di processi che permettono di preservare e garantire la corretta fluidità del sangue, ma anche di prevenire e arrestare il sanguinamento (emorragia). In pratica, grazie al sistema della coagulazione il sangue si mantiene di norma liquido, ma è anche capace di coagulare, cioè di diventare solido, quando serve (in caso di traumi, infiammazioni, aggressioni da parte di microrganismi).
Il buon funzionamento di questo sistema si basa sull’equilibrio tra fattori pro-coagulanti, denominati con un numero romano da I a XIII, e fattori anti-coagulanti, tra cui rientrano le proteine C, S e antitrombina (AT) III. I fattori pro-coagulanti favoriscono la coagulazione e riducono il rischio emorragico, gli anti-coagulanti tengono sotto controllo l’azione dei pro-coagulanti, permettendo al sangue di coagulare solo quando necessario e nella giusta misura, né troppo, né troppo poco.
La presenza di un difetto di coagulazione si associa alla trombofilia, ovvero ad una maggiore predisposizione a sviluppare eventi trombotici come conseguenza dell’ipercoagulabilità del sangue.

Le cause dell’ipercoagulabilità
Cosa determina l’ipercoagulabilità? Questa condizione può essere genetica, ovvero causata da fattori presenti fin dalla nascita.
I principali sono:
- la carenza congenita di proteine anticoagulanti C, S e antitrombina III.
- La mutazione 20210 della protrombina fattore II, che causa un eccesso di produzione di trombina che squilibra in senso pro-trombotico il sistema della coagulazione. La trombina è un enzima presente nel circolo ematico che converte il fibrinogeno, o fattore I della coagulazione, in fibrina, una proteina utilizzata nella coagulazione del sangue, favorendo così la coagulazione.
- La mutazione del fattore V di Leiden, che non riesce ad attivare la proteina anticoagulante C: questo difetto funzionale, denominato anche “resistenza alla proteina C attivata”, fa sì che il sistema di controllo della coagulazione sia difettoso, determinando un’eccessiva tendenza del sangue a coagulare.
In altri casi, l’ipercoagulabilità è acquisita, ovvero dipende da fattori che si sviluppano dopo la nascita. Tra questi ci sono:
- la sindrome da anticorpi antifosfolipidi (compresa la presenza del lupus “anticoagulante”), una malattia autoimmune che aumenta il rischio di coagulazione a causa dell’iperattivazione dei fattori della coagulazione del sangue.
- La coagulazione intravascolare disseminata, che spesso si osserva in persone affette da tumore.
- L’iperomocisteinemia, ovvero l’anomalo innalzamento dell’omocisteina, che in genere è causato da carenze di vitamina B6, vitamina B12 o folati.
- La sindrome da trombocitopenia indotta da eparina, che può colpire persone in terapia anticoagulante con eparina non frazionata e causare uno stato pro-trombotico.
- La presenza di stasi e lesioni vascolari.
- L’obesità.
- L’aumento dei livelli di estrogeni, per esempio in gravidanza, a causa dell’assunzione di contraccettivi orali o di terapia ormonale sostitutiva (TOS) in menopausa.
Vuoi conoscere più in dettaglio la triade di Virchow? Leggi il nostro articolo “Triade di Virchow, tutto quello che bisogna sapere“.
Cause della trombosi
Dalla composizione della triade di Virchow risulta chiaro che la trombosi è un evento dalla genesi multifattoriale. Questa condizione, cioè, non è mai il frutto di un’unica causa, bensì il prodotto di più condizioni predisponenti e fattori di rischio che possono rendere vulnerabili agli eventi trombotici.
Schematizzando, tuttavia, possiamo dire che in linea generale la trombosi venosa è la conseguenza di un anomalo processo di coagulazione del sangue a carico di una vena, per lo più delle gambe ma non necessariamente, che determina la formazione di un trombo. Il coagulo frena, e in alcuni casi impedisce, la circolazione del sangue e danneggia gli organi a monte dell’ostruzione, come retina, polmoni, fegato, arti.
La trombosi arteriosa, invece, spesso si associa all’aterosclerosi, un irrigidimento delle arterie caratterizzato dalla formazione di placche lungo le pareti. Queste placche sono costituite da colesterolo, cellule infiammatorie e cellule ematiche, a cui possono aggiungersi depositi di sali di calcio.
Le piastrine tendono ad accumularsi proprio in corrispondenza di queste placche aterosclerotiche e a dare origine a trombi, che provocano l’occlusione del vaso colpito e ostacolano il regolare flusso sanguigno.
Fattori di rischio
Come abbiamo visto, l’equilibrio del sistema della coagulazione e il rischio di trombosi dipendono in parte da fattori genetici, in parte da altri fattori legati allo stile di vita e alle condizioni di salute di ciascuna persona.
Nella maggior parte dei casi, anche in presenza di trombofilia legata a una predisposizione genetica o a problematiche sopraggiunte dopo la nascita, la probabilità di eventi trombotici aumenta se ci sono alcuni fattori di rischio. Molti sono legati allo stile di vita, quindi modificabili. È il caso della sedentarietà, del fumo di sigaretta, di una dieta squilibrata e troppo ricca di grassi che determina sovrappeso, obesità o un aumento dei livelli di colesterolo nel sangue.
Il rischio di trombosi può aumentare anche in presenza di altri fattori e condizioni, come:
- l’aver sofferto di un evento trombotico in passato
- la familiarità, per esempio l’avere consanguinei che sono stati colpiti da ictus, infarto o embolia prima dei 65 anni
- l’immobilità prolungata, come quella causata da un ricovero in ospedale
- traumi, interventi chirurgici, ingessature agli arti
- la gravidanza e il post-parto
- le malattie infiammatorie acute
- le malattie croniche come l’artrite reumatoide
- i tumori
- l’assunzione di farmaci che favoriscono la coagulazione (per esempio chemioterapici e ormoni)
- l’età avanzata: il rischio aumenta dopo i 65 anni.

Gravidanza e rischio trombotico
La gravidanza è considerata lo stato più pro-trombotico nella vita di una donna. Questo non significa che tutte le donne incinte svilupperanno una trombosi. Tuttavia alcuni cambiamenti, soprattutto nel periodo pre e post partum, fanno sì che la futura mamma sia più esposta al rischio di trombosi venosa profonda e di embolia polmonare.
Le cause sono sia di carattere ormonale che legate a fattori meccanici. In gravidanza, il sistema della coagulazione subisce alcune modifiche: aumentano i fattori che fanno coagulare il sangue e si verifica una riduzione della proteina anticoagulante S, un anticoagulante protettivo naturale.
Anche le alterazioni del normale flusso sanguigno negli arti inferiori, provocate dall’ostruzione al ritorno venoso da parte dell’utero in accrescimento, possono aumentare il pericolo di trombosi.
E’ importante che la donna sia informata su questi rischi e non trascuri i possibili sintomi di trombosi, come crampi molto forti e gonfiore che interessano una sola gamba. Altri possibili sintomi sono un mal di testa molto intenso, l’improvvisa perdita della vista o della forza in una metà del corpo oppure della parola per alcuni secondi. In questi casi è importante consultare subito il medico.
Prevenire la trombosi in gravidanza
La trombosi in gravidanza si può prevenire con una serie di accorgimenti:
- utilizzare sempre le calze elastiche anche in assenza di disturbi di circolazione. La compressione elastica degli arti inferiori migliora il circolo venoso e riduce il rischio di trombosi
- controllare il peso
- non fumare
- prevedere, in accordo col proprio medico, un’integrazione di acido folico (vitamina B9). Questa sostanza, prescritta in gravidanza per prevenire malformazioni come la spina bifida nel feto, ha anche un effetto protettivo nei confronti delle malattie da trombosi.
Le donne che hanno avuto in famiglia casi di malattie cardiovascolari come infarto, ictus, ischemia, embolia, trombosi venose devono essere particolarmente attente a proteggersi.
Trombosi, pillola ed estroprogestinici
Anche l’assunzione di contraccettivi orali si lega a un aumentato rischio di trombosi. Questi farmaci, infatti, riducono i livelli di proteine anticoagulanti, ovvero di quelle che mantengono il sangue più fluido. Il rischio è ancora più elevato nelle formulazioni di ultima generazione, come quelle di terza e quarta generazione, che contengono livelli più elevati di estrogeni e progestinici. Analogamente, anche la terapia ormonale sostitutiva (TOS), che viene utilizzata in menopausa per integrare gli ormoni (in particolare estrogeni e progesterone), compensandone il calo fisiologico, e ridurre i sintomi che spesso si verificano in questa fase della vita, può rappresentare un fattore di rischio di trombosi.
Ecco perché è consigliabile assumere questi preparati con cautela e sempre dietro prescrizione del medico o del ginecologo. Una raccomandazione che vale soprattutto in presenza di fattori di rischio come:
- predisposizione genetica alla trombosi
- familiarità con eventi trombotici o passati eventi vascolari
- sovrappeso o obesità
- fumo di sigaretta.
I sintomi della trombosi
Come si riconosce una trombosi? Spesso questa patologia è asintomatica o ha sintomi di difficile identificazione o che si presentano quando la trombosi ha già portato a complicanze più severe. Questo vale sia per la trombosi arteriosa che per quella venosa.
In generale, la tipologia e la gravità dei sintomi della trombosi dipendono dall’importanza e dalle dimensioni del vaso colpito, dalla grandezza del trombo e dalla velocità con cui ostacola o blocca il flusso sanguigno.
Un ictus dovuto all’occlusione di un’arteria cerebrale nella maggior parte dei casi si manifesta con una perdita improvvisa di mobilità, sensibilità o forza in una metà del corpo (braccio, braccio e gamba, viso) o con una perdita della parola, totale o parziale. La trombosi dell’arteria retinica può causare la perdita della vista. Quella venosa a una gamba, la più frequente, causa gonfiore, rossore e dolore. La trombosi delle arterie delle gambe, che colpisce soprattutto i pazienti diabetici, si associa a cute pallida e fredda, oltre che dolorante.
E’ importantissimo saper intercettare per tempo i segnali di una trombosi per intervenire tempestivamente e prevenire conseguenze che possono essere anche molto serie. Per questo, se hai disturbi che ti fanno sospettare una trombosi, rivolgiti subito al tuo medico che saprà consigliarti gli accertamenti più appropriati e, in caso di trombosi, la cura più indicata. Più precoce è la diagnosi e più velocemente viene impostata la terapia, più efficace sarà il trattamento della trombosi e delle sue complicanze.
Riconoscere la trombosi venosa
La trombosi venosa si manifesta con segni non facili da identificare, di solito a insorgenza lenta. Per questo motivo, spesso viene individuata solo quando sono già comparse complicanze.
Tuttavia, ci sono alcuni campanelli d’allarme che è importante saper individuare. Tra questi:
- gonfiore e dolore alla gamba, alla caviglia e al piede (la trombosi venosa colpisce prevalentemente gli arti inferiori)
- sensazione di intorpidimento e calore cutaneo nell’area interessata
- cambiamenti di colore della pelle, che può apparire arrossata oppure pallida o cianotica.

I segnali della trombosi arteriosa
Nel caso della trombosi arteriosa, invece, l’occlusione dell’arteria ha come sintomo più frequente il dolore, di solito di intensità molto forte, nell’area del corpo colpita: al torace in caso di infarto, all’occhio se la trombosi interessa l’arteria retinica, alla gamba in caso di ischemia di un arto.
Come capire se hai un’embolia polmonare
Anche l’embolia polmonare, che si verifica quando un trombo presente in una vena si frammenta e uno o più emboli raggiungono i polmoni, non ha sintomi evidenti. Per questo viene definita killer silenzioso. Tra i possibili indizi ci sono:
- improvvisa difficoltà a respirare (dispnea), in particolare sotto sforzo ma anche a riposo
- dolore toracico
- accelerazioni o irregolarità del battito cardiaco
- tosse con tracce di sangue.
Scopri i 10 sintomi della trombosi da non sottovalutare.
Le diverse forme di trombosi e le malattie correlate
La trombosi, come abbiamo visto, non è di per sé una malattia. E’ piuttosto un fenomeno che può assumere tante forme e causare molteplici patologie a carico di tantissimi organi, con conseguenze più o meno gravi, spesso invalidanti, in molti casi fatali.
La trombosi venosa può manifestarsi come trombosi venosa superficiale (o tromboflebite) o come trombosi venosa profonda (TVP) e colpisce più frequentemente gli arti inferiori e superiori. Questo tipo di trombosi, tuttavia, può interessare anche altri distretti venosi del corpo. Tra questi, il sistema nervoso centrale (trombosi venosa cerebrale). La trombosi venosa può anche colpire sedi rare come il circolo dell’occhio (è il caso della trombosi venosa retinica) o il circolo splancnico (trombosi portale, trombosi venosa mesenterica, trombosi vena splenica, trombosi delle vene sovraepatiche o sindrome di Budd-Chiari).
La complicanza più grave della trombosi venosa è la tromboembolia polmonare (TEP), che si verifica quando un trombo che si è formato a livello venoso si frammenta in emboli che, attraverso il cuore, raggiungono i polmoni.
La trombosi arteriosa, invece, può causare infarto del miocardio (trombosi delle arterie coronarie), ictus (trombosi delle arterie cerebrali), arteriopatia periferica (trombosi dell’asse arterioso degli arti inferiori o superiori). Come le trombosi venose, anche le trombosi arteriose possono manifestarsi in sedi rare come quelle del circolo dell’occhio (trombosi arteriosa retinica) o dell’orecchio (provoca ipoacusia neurosensoriale improvvisa e può causare un deficit udito più o meno grave, spesso associato ad acufene).
Vediamo allora più in dettaglio le principali forme in cui può manifestarsi la trombosi e quali sono le più frequenti malattie e complicanze che causa.

Trombosi venosa profonda (TVP) e trombosi venosa superficiale
Abbiamo visto che la trombosi venosa è causata dalla formazione di trombi in una o più vene. I coaguli possono interessare vene localizzate in profondità, vicino ai muscoli, oppure vasi del circolo venoso superficiale. Nel primo caso parliamo di trombosi venosa profonda (TVP) o flebotrombosi, nel secondo caso di trombosi venosa superficiale, comunemente nota anche come tromboflebite.
Entrambe queste condizioni sono caratterizzate dall’ostruzione di una vena per la presenza di un coagulo che ostacola il flusso del sangue. Al coagulo possono essere associati delle alterazioni della parete vascolare o del flusso del sangue o un aumento della coagulazione del sangue.
In genere la trombosi venosa coinvolge i vasi sanguigni delle gambe e si lega ad una stasi prolungata in posizione sdraiata o seduta, per esempio durante un viaggio in aereo. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto che, nei pazienti a rischio, un viaggio in aereo di circa 4 ore raddoppia il rischio di trombosi venosa profonda. Tuttavia, questa problematica può interessare tutte le vene, comprese quelle dell’encefalo, dell’addome e dell’occhio.
Ma cosa causa la trombosi venosa? Di solito la tendenza alla formazione di trombi nel sistema venoso è legata a una condizione predisponente di natura genetica, che determina un un’ipercoagulabilità del sangue.
Ci sono poi dei fattori di rischio che possono aumentare la probabilità di sviluppare eventi trombotici. Tra questi:
- immobilità prolungata e forzata, per esempio per un ricovero in ospedale
- sedentarietà
- sovrappeso o obesità
- interventi chirurgici
- gravidanza
- tumori
- fumo
- assunzione di contraccettivi orali.
E’ fondamentale individuare subito una trombosi venosa per intervenire tempestivamente e prevenire le possibili complicanze. Dal trombo venoso, infatti, possono staccarsi degli emboli, ovvero dei frammenti, che possono raggiungere il polmone e causare un’embolia polmonare.
Embolia polmonare
L’embolia polmonare è la complicanza più grave della trombosi venosa e rappresenta la terza causa di patologia cardiovascolare dopo l’infarto miocardico e l’ictus cerebrale. Si verifica quando una o più arterie che trasportano sangue ai polmoni si ostruiscono completamente a causa di un embolo, che ostacola il normale flusso di sangue e impedisce il passaggio di ossigeno ai polmoni.
Nel 90% dei casi l’embolo è la conseguenza di una trombosi venosa profonda (TVP) delle gambe: i trombi presenti nelle vene si frammentano e migrano attraverso il flusso sanguigno fino alle arterie polmonari. L’embolia polmonare causa un malfunzionamento dei polmoni e gravi problemi respiratori. I sintomi includono dolore al torace, dispnea improvvisa (difficoltà a respirare), cianosi, tosse, febbre sopra i 38 °C, tachicardia e ipotensione.
E’ importante riconoscere subito i segnali di embolia polmonare, perché questa patologia, se si interviene tempestivamente, può essere curata. Il trattamento prevede di solito la somministrazione di farmaci trombolitici per dissolvere gli emboli e di ossigeno per favorire la respirazione.
Un’embolia polmonare non trattata per tempo, invece, può portare a complicanze gravi. Tra queste l’infarto polmonare, che determina la necrosi del tessuto privato dei nutrienti e la morte.

Trombosi delle arterie coronarie e infarto del miocardio
L’infarto del miocardio è una delle conseguenze della trombosi delle arterie coronarie. L’occlusione totale o parziale di uno di questi vasi da parte di un trombo, infatti, provoca la necrosi, cioè la morte, di una parte del muscolo cardiaco, che a causa del trombo non riceve più un adeguato apporto di sangue e ossigeno dalla circolazione arteriosa.
Come abbiamo visto, di solito la trombosi arteriosa si associa ad aterosclerosi, caratterizzata dalla presenza di placche sulle arterie, che si irrigidiscono e perdono la propria elasticità. I trombi si formano proprio in prossimità di queste lesioni aterosclerotiche. Lo stile di vita, e in particolare un’eccessiva sedentarietà e un’alimentazione troppo ricca di grassi con conseguente ipercolesterolemia, l’ipertensione e il diabete rappresentano i principali fattori di rischio di infarto, insieme all’età avanzata e alla familiarità.
Come riconoscere un infarto del miocardio? I sintomi possono manifestarsi sia a riposo che dopo uno sforzo. Di solito sono ad esordio brusco e facilmente riconoscibili: dolore al petto, sudorazione fredda, malessere profondo, nausea e vomito.
L’infarto è una malattia ad elevata mortalità se non adeguatamente e velocemente trattato, quindi è importante attivare subito i soccorsi in presenza di campanelli d’allarme. L’intervento tempestivo permette di monitorare il paziente, di trattare immediatamente le possibili complicanze dell’infarto (shock, aritmie gravi come la fibrillazione ventricolare, edema polmonare acuto, ischemia degli altri organi per la scarsa capacità del cuore di pompare nutrimento) e di intervenire anche sul trombo con farmaci efficaci.
Trombosi cerebrale e ictus
Tra le malattie da trombosi c’è l’ictus, o stroke, che può essere causato dalla chiusura di un’arteria cerebrale che ostruisce il passaggio del sangue. In questo caso si parla di ischemia cerebrale: le cellule che vengono normalmente nutrite da quell’arteria subiscono un infarto e e vanno incontro a necrosi (morte cellulare). L’ischemia cerebrale rappresenta l’85% di tutti i casi di ictus cerebrale.
Un’arteria si può chiudere come conseguenza di una trombosi cerebrale, ovvero a causa della formazione di un trombo al suo interno o, spesso, su una placca ateromasica presente su una parete. In alternativa, l’ostruzione dell’arteria può essere provocata da emboli, ovvero da frammenti di trombo che partono in genere dal cuore o dalle arterie del collo e la raggiungono: in questo caso si parla di embolia cerebrale.
Come riconoscere un ictus
La caratteristica principale dell’ictus cerebrale è che compare improvvisamente, di solito senza dolore. I sintomi classici sono la mancanza di forza, il formicolio e la perdita di sensibilità ad un braccio e ad una gamba, o solo ad uno di questi. In chi è colpito da ictus possono manifestarsi anche difficoltà nel parlare o difficoltà nel vedere da un lato. A volte questi sintomi compaiono solo per alcuni minuti per poi scomparire completamente. Si tratta dei cosiddetti attacchi ischemici transitori (TIA), che possono essere un campanello di allarme per un ictus vero e proprio, quindi richiedono un immediato consulto medico.
In generale, la tempestività è fondamentale, in caso di sospetto ictus, per prevenire i suoi esiti più drammatici, spesso fatali. L’ictus, in Italia, rappresenta una delle principali cause di morte e disabilità. Esiste un trattamento farmacologico, detto trombolisi, che permette di dissolvere il trombo o l’embolo responsabili dell’ictus. L’arteria ostruita viene così riaperta e una parte del tessuto cerebrale colpito può essere salvato. Per avere effetto, tuttavia, questa terapia deve essere effettuata entro tre ore dall’evento ischemico: ecco perché agire rapidamente in caso di ictus è cruciale.

Trombosi cerebrale dei seni venosi (CVST)
La trombosi cerebrale dei seni venosi è una malattia cerebro-vascolare piuttosto rara che colpisce gli adulti, ma può manifestarsi anche in bambini, neonati e giovani. E’ causata dalla formazione di un coagulo di sangue nei seni venosi cerebrali, una rete complessa di vasi che drenano il sangue dal cervello e lo trasportano verso la vena giugulare interna e quindi al cuore. Questa occlusione, che impedisce al sangue di defluire dal cervello, causa edema cerebrale, danno neuronale ischemico ed emorragia. Il sintomo più tipico è un’intensa cefalea. Il mal di testa può accompagnarsi a visione offuscata, riduzione del livello di coscienza o svenimento, deficit neurologici (emiparesi, afasia), epilessia e convulsioni, stato comatoso.
Le cause e i fattori di rischio di trombosi cerebrale dei seni venosi includono malattie della testa e del collo (soprattutto infettive), malattie acute o croniche (anemia, malattie autoimmuni, tumorali, metaboliche, renali o cardiache), trombofilie, assunzione di alcuni farmaci (cortisonici, contraccettivi), traumi o interventi neurochirurgici.
Trombosi cerebrale e vaccini anti-Covid19
Questa forma di trombosi è diventata molto nota per i rarissimi casi associati alla somministrazione dei vaccini anti-Covid19 AstraZeneca e Johnson & Johnson che si sono verificati all’inizio del 2021.
Un fenomeno, quello della trombocitopenia trombotica immunitaria indotta da vaccino (VITT) associato a trombosi in sedi atipiche, a lungo analizzato dalla comunità scientifica, che sembra aver trovato le prime risposte per spiegarlo. A comprenderne le cause è stato uno studio di un team di ricercatori dell’Università di Cardiff, pubblicato sulla rivista Science Advances. Secondo gli scienziati, uno dei componenti chiave del vaccino a vettore virale sarebbe in grado di attrarre una proteina presente nel sangue (il fattore piastrinico 4 o PF4), innescando una reazione a catena che coinvolge il sistema immunitario e che può culminare in pericolosi coaguli. Questo meccanismo sarebbe alla base dello sviluppo di trombosi in distretti corporei di solito non interessati da questo fenomeno (addome e cervello) e in presenza di un basso livello di piastrine, le componenti del sangue normalmente implicate nella coagulazione.
Trombosi retinica
La trombosi retinica è una condizione causata da un’ostruzione della circolazione sanguigna in una vena o in un’arteria retinica, ovvero in uno di quei vasi sanguigni che irrorano la retina, ad opera di un trombo. La trombosi retinica arteriosa è meno frequente rispetto all’occlusione della vena retinica (o Retinal Vein Occlusion, RVO).
Ma quali sono i sintomi della trombosi retinica? In genere, quella arteriosa è caratterizzata da un improvviso calo della vista che può durare anche qualche minuto. A volte la vista non diminuisce ma il paziente percepisce un’ombra che invade il campo visivo.
Anche quando il trombo colpisce una vena retinica, il sintomo principale è l’abbassamento improvviso della vista, o in alternativa un suo annebbiamento.
In tutti i casi, è importante sottoporsi subito a una visita oculistica per accertare la presenza di una trombosi. La diagnosi precoce permette di intervenire con la terapia più opportuna, dal trattamento laser sulle eventuali zone lesionate della retina alla somministrazione di anticoagulanti. Il rischio, altrimenti, è quello di sviluppare un edema maculare o un’ischemia maculare. Una trombosi retinica non trattata può dare luogo, anche a distanza di tempo, ad un glaucoma secondario causato dalla neovascolarizzazione della retina.
Tra i fattori di rischio da tenere sotto controllo, oltre a quelli classici della trombosi (aterosclerosi, ipertensione, diabete, disturbi cardiovascolari e della coagulazione, obesità), ci sono alcune problematiche oculari come il glaucoma o anomalie a carico della vena centrale della retina.
Scopri di più sulla trombosi retinica nel nostro articolo “Trombosi occhi: come si manifesta e come si cura”.

Arteriopatia periferica
Tra le forme in cui la trombosi può manifestarsi c’è l’arteriopatia periferica, anche detta trombosi dell’asse arterioso degli arti inferiori o superiori. Si tratta di una patologia del sistema circolatorio caratterizzata dalla riduzione dell’afflusso di sangue e ossigeno alle arterie degli arti superiori e inferiori a causa dell’ostruzione e del restringimento di questi vasi. Ad essere colpiti sono in prevalenza gli arti inferiori.
In forma non grave, l’arteriopatia può essere asintomatica o avere sintomi lievi. Nelle forme più severe, invece, può causare intorpidimento e/o debolezza dell’arto colpito, che risulta anche più pallido e freddo, spesso soggetto a piaghe. Il sintomo più caratteristico è la claudicatio intermittens. Consiste in una zoppia intermittente causata dal dolore muscolare che si avverte negli arti quando si fa movimento e che scompare dopo pochi minuti di riposo.
L’arteriopatia deve essere adeguatamente trattata, sia per evitare la perdita dell’arto colpito, sia per ridurre il rischio di sviluppare infarto e ictus, due condizioni a essa connesse.
La Sindrome di Leriche
Fra le diverse forme di arteriopatia ostruttiva cronica periferica c’è la Sindrome di Leriche. Si tratta di una sindrome trombotica ostruttiva a carico della biforcazione delle due arterie iliache. Questa malattia vascolare è causata da un processo infiammatorio delle arterie dovuto a virus, batteri o a malattia di Burger (una forma di trombosi infiammatoria di piccole e medie arterie e di vene superficiali). Spesso questa patologia si associa ad aterosclerosi. L’ostruzione può interessare non solo le arterie iliache, ma anche l’aorta addominale e i vasi femoropoplitei.
I sintomi comuni includono claudicatio intermittens, riduzione o assenza del polso femorale e impotenza e disfunzione erettile nell’uomo. A questi sintomi possono aggiungersi cianosi, pallore, intorpidimento, ischemia degli arti inferiori, oltre a lentezza nella guarigione di eventuali ferite e ulcere.
La terapia d’elezione della Sindrome di Leriche è chirurgica e prevede la rivascolarizzazione delle arterie iliache tramite bypass. A seconda della gravità o della localizzazione delle lesioni, possono essere previsti altri trattamenti. Tra questi, quello farmacologico a base di antiaggreganti o l’angioplastica transluminale percutanea (PTA), che consente di dilatare il tratto ristretto di un’arteria che riduce il flusso sanguigno.
Scopri di più su “Cos’è la Sindrome di Leriche e come si cura” nel nostro articolo.
Trombosi emorroidaria
La trombosi emorroidaria è una delle complicanze più frequenti della malattia emorroidaria. Consiste nella formazione di un trombo all’interno di uno dei vasi sanguigni che costituiscono le emorroidi, ovvero le strutture vascolari presenti nel canale anale.
I sintomi sono simili a quelli della malattia emorroidaria: dolore, sanguinamento anale, tumefazione rosso-blu in zona perianale in caso di emorroidi esterne. Ai sintomi delle emorroidi classiche, in presenza di trombosi emorroidaria si aggiunge il prurito.
La terapia può essere a base di igiene, attività sportiva e dieta ricca di acqua e fibre per favorire la defecazione, che a causa del dolore può essere difficoltosa. Se questo trattamento si rivela non efficace, è possibile fare ricorso a una trombectomia emorroidaria per la rimozione del trombo.
In ogni caso è importante rivolgersi al medico in caso di sospetta trombosi emorroidaria. Questo è utile sia per la corretta diagnosi – e per escludere altre patologie, anche serie, che possono causare sanguinamento anale – sia per impostare la cura più adeguata.
Nel nostro articolo sulla trombosi emorroidaria, ti spieghiamo sintomi, cause e cure.

Diagnosi
È importante consultare il medico in presenza di qualunque campanello d’allarme possa far sospettare una trombosi o una malattia da trombosi. Tra questi, gonfiore, calore, arrossamento e intorpidimento agli arti. Da non trascurare anche difficoltà respiratorie, alterazioni improvvise del ritmo cardiaco, tosse con tracce di sangue e dolore toracico, che possono segnalare un’embolia polmonare. La perdita di forza, sensibilità, parola, invece, sono possibili spie di un ictus cerebrale.
La diagnosi di trombosi si basa sull’anamnesi del paziente e sull’esame obiettivo dei sintomi. La valutazione clinica, tuttavia, non è di solito sufficiente, ma deve essere supportata da una serie di esami strumentali che sono in grado di confermare la presenza di un evento trombotico. Tra questi, un EcoColorDoppler venoso o arterioso. Si tratta di un controllo ecografico rapido, indolore e non invasivo che permette di individuare le eventuali ostruzioni a carico delle vene o delle arterie.
E’ consigliabile anche eseguire esami del sangue per la valutazione dei parametri della coagulazione, utili per individuare anomalie e valutare l’opportunità di altri accertamenti diagnostici.
Importante è lo screening del D-dimero, un prodotto di degradazione del trombo venoso che in condizioni di TVP aumenta. I valori ematici di D-dimero, tuttavia, possono aumentare anche in presenza di altre patologie, quindi la sua importanza sta soprattutto nel suo valore predittivo negativo. Un livello di D-dimero basso permette di escludere una trombosi venosa profonda. Un livello alto non è necessariamente indice di trombosi ma suggerisce la necessità di fare ulteriori accertamenti.
Trattamento
Il trattamento della trombosi prevede l’utilizzo di farmaci in grado di inibire la coagulazione del sangue, a cui può associarsi la terapia elastocompressiva.
I farmaci contro la trombosi: antiaggreganti e anticoagulanti
Esistono due grandi categorie di farmaci: gli antiaggreganti piastrinici e gli anticoagulanti.
Gli antiaggreganti piastrinici aumentano la fluidità del sangue impedendo alle piastrine di aderire tra loro e di scatenare una trombosi. Sono impiegati nella prevenzione della trombosi arteriosa, sia nelle persone a rischio sia in chi ha avuto precedenti episodi trombotici (infarto cardiaco, arteriopatia periferica, interventi di chirurgia coronarica, ictus ischemico).
Gli anticoagulanti agiscono bloccando in parte i fattori che favoriscono la coagulazione, di norma prodotti dal fegato.
Tra gli anticoagulanti ci sono le eparine a basso peso molecolare, che inibiscono il fattore Xa della coagulazione rendendo il sangue più “fluido” e riducendo così la sua capacità di coagulare. Si somministrano in vena o per via sottocutanea e vengono spesso impiegati a scopo preventivo e profilattico nei pazienti che abbiano già avuto un episodio di trombosi venosa profonda. Sono utili anche dopo interventi chirurgici e in pazienti costretti a letto per lunghi periodi. Rispetto all’eparina non frazionata, che inibisce sia il fattore Xa della coagulazione che la trombina, le eparine a basso peso molecolare hanno maggiore effetto anticoagulante con minore rischio emorragico.
Un altro tipo di farmaci anticoagulanti è rappresentato dagli antagonisti della vitamina K (essenziale nel processo di coagulazione). Possono essere somministrati per via orale sotto forma di compresse. E’ il caso del warfarin sodico, un anticoagulante che riduce la formazione di trombi nel sangue e la loro migrazione in altre parti del corpo. Questo effetto viene ottenuto inibendo la produzione epatica di fattori di coagulazione vitamina K dipendenti.
Ci sono poi gli anticoagulanti orali diretti, che si sono aggiunti a eparine e antagonisti della vitamina K. Hanno il vantaggio di una più semplice somministrazione, con ridotti rischi emorragici.

Il bendaggio elastocompressivo
Alla terapia farmacologica può essere abbinato il bendaggio elastocompressivo con calze antitrombosi, soprattutto in presenza di trombosi venosa profonda agli arti inferiori. L’elastocompressione deve essere mantenuta per almeno tre anni, anche dopo che l’episodio acuto di trombosi venosa profonda si è risolto. Questo permette di ridurre l’incidenza di complicanze e manifestazioni croniche come la sindrome post-trombotica. Si tratta di una condizione che può interessare i pazienti colpiti da TVP anche a distanza di anni dall’evento. Si manifesta con dolore, gonfiore, comparsa di ulcere e impaccio nel ritorno venoso nella sede che è stata colpita da trombosi venosa profonda. È una malattia invalidante, che l’elastocompressione permette di prevenire.
Prevenzione
La trombosi e le malattie da trombosi possono essere prevenute soprattutto attraverso il controllo dei fattori di rischio, in particolare di quelli legati allo stile di vita e alla familiarità.
Anche in caso di predisposizione alla trombosi, infatti, alcune condizioni rappresentano un rischio aggiuntivo, che se modificato riduce la probabilità di essere colpiti da eventi trombotici. È il caso del sovrappeso, dell’obesità, dell’ipercolesterolemia e in generale della dislipidemia, che spesso sono la conseguenza della sedentarietà e di un’alimentazione squilibrata.
Praticare regolarmente attività fisica e seguire una dieta bilanciata e povera di grassi rappresentano quindi un’importante arma di prevenzione.
Mangiare sano e mantenersi attivi è tanto più importante in presenza di altri fattori di rischio di trombosi, come età avanzata, diabete, ipertensione arteriosa. Anche il fumo di sigaretta è un’abitudine da abbandonare per proteggersi.
In caso di predisposizione genetica alla trombosi venosa, è consigliabile evitare l’utilizzo di estroprogestinici a scopo anticoncezionale o sostitutivo dopo la menopausa. In alternativa, è bene fare ricorso a questi preparati solo dopo un’accurata valutazione da parte di uno specialista.
Insomma, la trombosi è un fenomeno dall’impatto sulla salute potenzialmente molto severo, invalidante o addirittura fatale. Tuttavia, uno stile di vita sano e l’adozione di una serie di accorgimenti permettono di ridurre i fattori di rischio e di prevenire la trombosi, le malattie correlate e le loro complicanze, soprattutto in presenza di familiarità o di condizioni genetiche che possono aumentare la probabilità di eventi trombotici.